Autorizzazione paesaggistica: è perentorio il termine di 45 giorni per il parere della Soprintendenza

Richiamando quanto già affermato nelle sentenze n. 1561 del 15/03/2013 e n. 2136 del 27/04/2015, i giudici della sesta sezione di Palazzo Spada, con sentenza n. 4927/2015, depositata lo scorso 28 ottobre, hanno confermato che è perentorio il termine di 45 giorni, di cui al comma 5 dell’art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004, per l'adozione del parere da parte della Soprintendenza. 



La vicenda prende spunto da un parere di competenza sfavorevole dalla Soprintendenza, emesso oltre i termini di cui al comma 8 dell’articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004, successivamente impugnato dinanzi al T.A.R. del Veneto, il quale, con sentenza di primo grado, riteneva il ricorso inammissibile per carenza di un interesse diretto ed attuale alla sua proposizione in relazione al contenuto dell’atto impugnato. In particolare, il giudice di prime cure osservava che il parere fosse un atto privo di portata vincolante e meramente endoprocedimentale e in quanto tale non direttamente impugnabile.

A seguito della pronuncia di primo grado, il Ministero per i beni e le attività culturali proponeva appello lamentando, in particolare, che il T.A.R. del Veneto avrebbe erroneamente qualificato come non vincolante il (tardivo) parere della Soprintendenza, seppur nell’ambito di una decisione tesa a dichiarare il ricorso inammissibile in forza della ritenuta portata endoprocedimentale dell’atto gravato. In particolare, l’Amministrazione appellante osservava che la decorrenza del termine di cui al comma 5 dell’art. 146 del decreto legislativo n.42 del 2004 non consuma il potere consultivo della Soprintendenza, di tal che un parere tardivo, oltre a essere pienamente valido ed efficace, conserverebbe altresì la propria natura vincolante.

A seguito delle citate considerazioni dal Ministero per i beni e le attività culturali, il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento n. 4927 del 2015, richiama il principio di diritto già espresso con la sentenza n. 2136 del 2015.

In tale occasione si era infatti osservato che, nel caso di adozione di un parere (negativo) da parte della Soprintendenza successivamente al decorso del richiamato termine di quarantacinque giorni, sarebbero astrattamente ipotizzabili tre opzioni:

  1. in base a una prima opzione, dovrebbe concludersi nel senso dell’intervenuta consumazione del potere per l’Organo statale di rendere un qualunque parere (di carattere vincolante o meno);
  2. in base a una seconda opzione, dovrebbe concludersi nel senso della permanenza in capo alla Soprintendenza del potere di emanare un parere di carattere comunque vincolante (dovendosi in particolare riconoscere carattere meramente ordinatorio al richiamato termine); 
  3. in base a una terza opzione interpretativa, non potrebbe escludersi in radice la possibilità per l’Organo statale di rendere comunque un parere in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’intervento; tuttavia il parere in parola perderebbe il carattere di vincolatività e dovrebbe essere autonomamente valutato dall’amministrazione deputata all’adozione dell’atto autorizzatorio finale.

Osserva il Collegio che, in caso di superamento da parte della competente Soprintendenza del termine ordinariamente previsto per il rilascio del proprio parere (vincolante) ai sensi dei commi 5 e 8 dell’articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004, il potere in capo all’Organo statale continua a sussistere (tanto che un suo parere tardivo resta comunque disciplinato dai richiamati commi 5 e 8 e mantiene la sua natura vincolante), ma l’interessato può proporre ricorso dinanzi al G.A. per contestare l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione statale (in tal senso: Cons. Stato, VI, 4 ottobre 2013, n. 4914; in termini simili: Cons. Stato, VI, 18 settembre 2013, n. 4656).

In base a tale orientamento, la perentorietà del termine riguarderebbe non la sussistenza del potere o la legittimità del parere, ma l’obbligo di concludere la fase del procedimento (obbligo che, se rimasto inadempiuto, può essere dichiarato sussistente dal Giudice con le relative conseguenze sulle spese del giudizio derivato dall’inerzia del funzionario – in tal senso: Cons. Stato, VI, 4 ottobre 2013, n. 4914). Ebbene, pur tenendo nella massima considerazione l’orientamento appena richiamato, il Collegio ritiene, in ogni caso, che prevalenti ragioni di carattere sistematico depongano nel senso dell’adesione al diverso orientamento volto a riconoscere carattere perentorio al termine di quarantacinque giorni di cui al comma 5 dell’articolo 146, cit. (in tal senso: Cons. Stato, VI, sent. 15 marzo 2013, n. 1561).

La decisione in parola (richiamando il pregresso orientamento che riconosceva carattere perentorio al termine riconosciuto alla Soprintendenza per procedere all’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica reso dall’amministrazione competente ai sensi dell’art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 – in seguito: art. 162 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 -) ha quindi ritenuto che l’evoluzione normativa, la quale ha trasformato l’atto di controllo annullatorio in una forma di cogestione del vincolo, non ha inciso sulla perentorietà del termine entro il quale l’atto di esercizio del relativo potere può e deve essere adottato.

Si osserva al riguardo che, nell’ambito di entrambi i modelli normativi (quello pregresso basato su una relazione di controllo e quello attuale basato su un modello di sostanziale cogestione del vincolo), il Legislatore ha inteso individuare un adeguato punto di equilibrio fra l’esigenza di assicurare una tutela pregnante a un valore di rilievo costituzionale quale la tutela del paesaggio attraverso il riconoscimento all’Organo statale di poteri (quale quello di annullamento e in seguito quello di rendere un parere conforme) di assoluto rilievo nell’ambito della fattispecie autorizzatoria e l’esigenza – parimenti di rilievo costituzionale - di garantire in massimo grado la certezza e la stabilità dei rapporti giuridici, imponendo che i richiamati poteri debbano essere esercitati in tutta la loro ampiezza entro un termine certamente congruo ma allo stesso tempo certo e non superabile.

Sul punto, il Collegio ha però voluto precisare che se anche la sentenza n. 1561/2013 stabilisce che il parere reso dalla Soprintendenza nell’ambito della procedura autorizzativa ex art. 146, cit. “è da considerarsi privo dell’efficacia attribuitagli dalla legge e cioè privo di valenza obbligatoria e vincolante”, occorre comunque chiedersi se il medesimo art. 146 ne impedisca tout-court l’espressione, ovvero se, più semplicemente, un siffatto parere possa comunque essere reso nei confronti dell’amministrazione procedente la quale dovrà quindi valutarlo in modo adeguato.

In tal senso, secondo i giudici di Palazzo Spada, il quesito deve essere risolto nel secondo dei sensi indicati. Depone, infatti, in tal senso il primo periodo del comma 9 del richiamato art. 146 secondo cui “decorso inutilmente il termine di cui al primo periodo del comma 8 senza che il soprintendente abbia reso il prescritto parere, l'amministrazione competente può indire una conferenza di servizi, alla quale il soprintendente partecipa o fa pervenire il parere scritto”.

Sussiste, pertanto, un univoco indice normativo secondo cui, a seguito del decorso del più volte richiamato termine per l’espressione del parere vincolante (rectius: conforme) da parte della Soprintendenza, l’Organo statale non resti in assoluto privato della possibilità di rendere un parere; tuttavia il parere in tal modo espresso perderà il proprio valore vincolante e dovrà essere autonomamente e motivatamente valutato dall’amministrazione preposta al rilascio del titolo.

Del resto, una lettura in senso sistematico del combinato disposto dei commi 8, 9 e 10 rende piuttosto evidente l’esistenza di un ordito normativo volto a configurare, in tema di rilascio dell’autorizzazione ai fini paesaggistici, una sorta di atteggiamento inverso per ciò che riguarda la possibilità per l’Organo statale di incidere attraverso l’espressione del proprio parere sugli esiti della vicenda autorizzatoria.

Ed infatti: - nel corso di una prima fase – per così dire: fisiologica – che si esaurisce con il decorso del termine di quarantacinque giorni, l’Organo statale può, nella pienezza dei suoi poteri di cogestione del vincolo, emanare un parere vincolante dal quale l’amministrazione deputata all’adozione dell’autorizzazione finale non potrà discostarsi (comma 8); - una volta decorso inutilmente il richiamato termine senza che la Soprintendenza abbia reso il prescritto parere (seconda fase), l’amministrazione procedente può indire una conferenza dei servizi nel cui ambito – per le ragioni dinanzi esposte – l’Organo statale, pur se non privato in assoluto del potere di esprimersi, potrà soltanto emanare un parere che l’amministrazione procedente avrà l’onere di valutare in modo autonomo; - laddove poi l’inerzia della Soprintendenza si protragga ulteriormente oltre il termine di sessanta giorni da quello della ricezione della documentazione completa (terza fase), “l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione” (comma 9, terzo periodo).

In tal modo il Legislatore rende chiaro che l’ulteriore, ingiustificabile decorso del tempo legittima l’amministrazione competente all’adozione dell’autorizzazione prescindendo in radice dal parere della Soprintendenza (il quale, evidentemente, viene così a perdere il proprio carattere di obbligatorietà e vincolatività).

 Alla luce di dette considerazioni osserva, in conclusione, il Collegio che il parere tardivamente reso e liberamente valutabile dal Comune perde, insieme con la propria efficacia vincolante, valenza di arresto procedimentale, assumendo connotazione strumentale rispetto al provvedimento comunale conclusivo del procedimento. 

Il testo della sentenza n. 4927 del 28 ottobre 2015, Consiglio di Stato, Sezione VI, è disponibile su sito della Giustizia Amministrativa a questo indirizzo.
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