Decreto liberalizzazioni e professione forense

Con decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, il Governo ha rilasciato disposizioni urgenti "per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività. Il decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.19 del 24 gennaio 2012, s.o. n. 18, con entrata in vigore "il giorno stesso  della  sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  italiana" (art. 98). Dovrà quindi essere convertito in legge entro il 24 marzo 2012, ossia sessanta giorni dalla pubblicazione, pena  la perdita di efficacia (art. 77 Cost.).

L'articolo 9 del decreto interviene sulle "professioni regolamentate", abrogando le relative tariffe  e introducendo l'obbligatorietà della pattuizione del compenso. Per comprendere la portata  della disposizione può essere utile sapere che il totale dei liberi professionisti italiani iscritti a Ordini e Collegi è di 2,1 milioni (fonte Il Sole 24 Ore).

In questa sede si vuole, senza pretesa di esaustività, portare un contributo di riflessione sulle conseguenze concrete della disposizione nella professione forense, non rintracciabili sui portali degli organismi di riferimento (Consiglio Nazionale Forense), impegnati nelle manifestazioni di dissenso rispetto alla riforma.


Art. 9 Disposizioni sulle professioni regolamentate
1. Sono abrogate le tariffe delle  professioni  regolamentate  nel sistema ordinistico.
La tariffa di riferimento è il decreto ministeriale 8 aprile 2004, n. 127 (G.U. 18 maggio 2004, n. 127, suppl. ord.) (Regolamento recante determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali in materia civile, penale amministrativa, tributaria e stragiudiziali). Il testo del primo comma non lascia adito a dubbi: è abrogato l'intero sistema tariffario di riferimento e, con essa, tutte le voci che la compongono, non solo gli onorari. L'articolo 1 del Regolamento include infatti nell'espressione ^tariffe^ tutte le voci successivamente trattate ("1. Gli onorari, i diritti e le indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali in materia civile, amministrativa, tributaria, penale e stragiudiziali sono determinati nelle tariffe di cui ai capitoli I, II, III, allegate al presente decreto").
2. Ferma restando l'abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro vigilante. Con decreto del Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze sono anche stabiliti i parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionale e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe. L'utilizzazione dei parametri nei contratti individuali tra professionisti e consumatori o microimprese dà luogo alla nullità della clausola relativa alla determinazione del compenso ai sensi dell'articolo 36 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206. 
Il comma 2 affida a un successivo decreto ministeriale il compito di individuare ^parametri^ (e non tariffe) di riferimento qualora la liquidazione dei compensi debba avvenire per opera di un organismo giurisdizionale: è il caso delle liquidazioni dei compensi nelle esecuzioni, delle somme per soccombenza, delle somme da determinarsi in esito ad un procedimento nel quale si discuta delle somme dovute al professionista. E' ragionevole immaginare che, quantomeno in prima battuta, è difficile che il Ministero della Giustizia di discosti dai parametri utilizzati per redigere le tariffe di cui al Decreto 8 aprile 2004 n.127 dello stesso ministero. Come è altrettanto ragionevole immaginare che una volta emanati i parametri ministeriali, i professionisti saranno tentati, quantomeno per gli incarichi giudiziali, di ricorrere ai parametri in questione per avere una base su cui operare. Tale comportamento trova un ostacolo nel divieto imposto dall'ultimo periodo del comma 2, che sanziona con la nullità il ricorso agli emanandi parametri ministeriali nei contratti "individuali" (e quindi con esclusione di quelli collettivi?) tra professionisti e consumatori (o microimprese). Lo scopo della sanzione è evidente: lasciare che sia il ^mercato^ a individuare soglie economiche di riferimento. In assenza di indicazioni degli Ordini, resta tuttavia difficile, o pressoché impossibile, per i professionisti formulare proposte che prescindano dalle tariffe vigenti fino a ieri, fermo restando che nulla vieta che ad esse - d'accordo con il cliente - ci si riferisca quale mero parametro monetario di riferimento.
3. Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito al momento del conferimento dell'incarico professionale.
La lettera della norma non lascia adito a interpretazioni di fantasia: il compenso è "pattuito" tra le parti e il momento in cui tale accordo si concretizza è quello dell'affidamento dell'incarico. Il che significa che una scansione temporale ideale dovrebbe essere così composta:
  • dichiarazione di interesse al servizio da parte del cliente;
  • formulazione della proposta da parte del professionista;
  • contrattazione della proposta e, in caso di accordo delle parti, conferimento dell'incarico.
Come è agevole notare, questo è un modello assai diverso da quello immaginato dagli Ordini professionali ma, in verità, assai più vicino alla realtà di quanto si pensi. Certo è che, sempre stando alla lettera della legge, il compenso non potrebbe essere pattuito successivamente al conferimento dell'incarico. Come è ovvio, la norma si rivolge al futuro: essa non riguarda cioè i mandati in corso. Ciò nonostante, come comportarsi in caso di difese connesse a domande riconvenzionali o motivi aggiunti in procedimenti esistenti? A stretto dettato di legge è necessario un nuovo incarico e quindi delle due l'una: o questa ipotesi è prevista in delega oppure è necessario l'accordo tra professionista e cliente.
[segue comma 3] Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale. 
La disposizione ha contenuto separato da quello del periodo successivo, che riguarda la predisposizione di un preventivo. Essa presta infatti attenzione a due oneri specifici del professionisti, che sono quelli:
  • di informare il cliente il grado di impegno richiesto al professionista al fine dell'espletamento dell'incarico e in che misura tutto ciò possa riflettersi sul ^costo^ dello stesso;
  • di indicare i "dati" della propria polizza assicurativa. Viene da chiedersi se il legislatore abbia inteso imporre l'obbligo di indicare anche il massimale oltre alla compagnia assicuratrice e al numero di polizza. Non essendo stata utilizzata la più tecnica espressione "estremi" è ragionevole ritenere che l'indicazione debba ricomprendere anche tale dato, nell'ottica di un corretta composizione delle informazioni preventive al cliente.
[segue comma 3] In ogni caso la misura del compenso, previamente resa nota al cliente anche in forma scritta se da questi richiesta, deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. 
Difficile immaginare cosa il legislatore intendesse disciplinare con l'espressione "in ogni caso", salvo ritenere che il nucleo minimo (inderogabile) delle informazioni che il professionista è tenuto a rendere al cliente sia quello descritto dal periodo successivo. Sta di fatto che il testo definitivo ha soppresso l'obbligo del preventivo scritto, rimettendo al cliente la facoltà di richiederlo in tale forma. Il che significa, per come è articolato il periodo, che la disposizione impone:
  • che la misura del compenso sia commisurata all'importanza dell'opera richiesta (e quindi non, ad esempio, al tempo occupato o alla difficoltà dei profili trattati);
  • che l'importo sia preventivamente comunicata al cliente affinché questi possa utilmente valutarlo;
  • che qualora il cliente lo richieda, tale comunicazione avvenga in forma scritta;
  • che la misura del compenso sia frutto dell'accordo delle parti;
  • che in sede di concretizzazione dell'accordo (e non in un altro momento) vengano analiticamente individuate le voci di costo, comprensive di spese vive, oneri e contributi.

La norma va raccordata con l'articolo 2233 del codice civile, il cui terzo comma colpisce con la nullità "i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali", qualora non redatti in forma scritta: la conclusione è che l'accordo delle parti intorno alla misura del compenso non può che essere redatto in forma scritta.

Infine. La disposizione si limita a disciplinare il procedimento che porta all'accordo delle parti circa la misura del compenso ma nulla dice, ad esempio, sui metodi di pagamento dello stesse, delle garanzie per il professionista, delle conseguenze degli inadempimenti da parte del cliente e così via. Se di accordo si tratta, e non più di mero incarico, non si vede perché tali voci non possano essere inserite in un modulo-base offerto in visione sul sito internet del professionista, senza che esse possano essere qualificate clausole vessatorie e sanzionate ai sensi dell'articolo 5 del medesimo decreto ("Tutela amministrativa contro le clausole vessatorie").
[segue coma 3] L'inottemperanza di quanto disposto nel presente comma costituisce illecito disciplinare del professionista.
La violazione dei disposti del terzo comma, a parte le ordinarie conseguenze civilistiche nei rapporti tra le parti, è sanzionata dal legislatore con la rilevanza del comportamento del professionista ai fini disciplinari. Sanzioni più gravi e diverse si sarebbero rivelate dannose per l'ordinamento stesso, oltre che fonte di ulteriori contrasti tra le parti, sopperendo - qualora il problema stia, come è ragionevole ritenere nella maggior parte dei casi, nella misura del compenso del professionista - l'articolo 2233 del codice civile, a norma del quale il compenso, "se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice" (comma I).
4. Sono abrogate le disposizioni vigenti che per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe di cui al comma 1.
La disposizione si è resa necessaria per evitare la reviviscenza di norme non espressamente abrogate ma collegate alle abrogate tariffe professionali.

Commi 5, 6 e 7, omissis.

Restano di attualità gli interrogativi legati al periodo che separa l'entrata in vigore del d.l. 1/2012 dalla sua conversione in legge. Non c'è dubbio che le categorie di riferimento contano su corpose modifiche delle disposizioni in questione, ma gli studi professionali non possono permettersi di attendere i sessanta giorni di rito per concordare un incarico con un cliente. E' vero che le Camere possono regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti (art. 77, c. 4, Cost.), ma prudenza vorrebbe che i contratti stipulati contengano una clausola di salvezza per l'ipotesi della mancata conversione in legge del decreto o della sua modifica, così da - quantomeno - mantenere ferme oltre ogni dubbio le pattuizioni concordate.

[documento pubblicato il 28 gennaio 2012]
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