Piani Attuativi: di chi è la competenza dopo il Decreto Sviluppo?

Il prossimo 11 settembre troveranno applicazione le disposizioni dei commi dal 9 al 13 della L. 106/2011 di conversione del Decreto n. 70/2011 (v. http://www.studiospallino.it/interventi/d.l._70_2011.htm). L'attenzione degli operatori é puntata sul comma 13, a norma del quale
Nelle Regioni a statuto ordinario, oltre a quanto previsto nei commi precedenti, decorso il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e sino all'entrata in vigore della normativa regionale, si applicano, altresì, le seguenti disposizioni: [...] b) i piani attuativi, come denominati dalla legislazione regionale, conformi allo strumento urbanistico generale vigente, sono approvati dalla giunta comunale.
Al di là dei dubbi interpretativi che sorgono a seguito delle modifiche lessicali intervenute in sede di conversione del decreto (che potrebbero far pensare ad un restringimento dell'ambito di applicazione della norma, riguardante non più "i piani attuativi comunque denominati", cioè ogni piano che sia attuazione della pianificazione comunale, ma solo quelli espressamente così nominati nelle leggi regionali, così che, per quanto riguarda la Regione Lombardia, sarebbero coinvolti i soli piani attuativi di cui all'art. 12 e non anche i procedimenti speciali disciplinati nel titolo VI della L.R. 12/2005), ciò che più lascia perplessi è il trasferimento della competenza della loro approvazione dai Consigli Comunali alle Giunte.

L'art. 42, comma 2, lett. b) del T.U. 267/2000 prevede infatti l'attribuzione di tale funzione ai Consigli comunali, e in tal senso prevede anche l'articolo 22 della legge 30/4/1999, n. 36 in tema di edilizia residenziale pubblica, ma il Decreto Sviluppo non fa cenno ad alcuna di queste disposizioni, facendo così sorgere nell'interprete il dubbio di una mancata risoluzione della evidente antonomia legislativa. La soluzione pare debba passare dall'analisi del rapporto che intercorre tra le due fonti normative. Da un lato (T.U.E.L.), un decreto legislativo, normazione del governo delegata dal Parlamento; dall'altro (L. 106/2011) una legge ordinaria.

Dal punto di vista di stretto diritto, sono due le possibili soluzioni. Se una fonte è gerarchicamente sovraordinata all'altra, applicando il principio gerarchico, sarà quella superiore a prevalere rendendo l'altra invalida. Se invece sono entrambe di pari rango normativo, secondo il criterio cronologico, la norma successiva abrogherà quella antecedente. L'opinione maggioritaria ritiene che i testi unici, delegati dal Parlamento, ricoprano il medesimo livello gerarchico delle leggi del Parlamento. Applicando allora il criterio cronologico, la L. 106/2011 dovrebbe abrogare l'art. 42, comma 2, lett. b) del T.U.E.L. e la competenza passerebbe definitivamente alla Giunta.

La questione sembrerebbe dunque risolta, se non fosse per la norma di salvaguardia contenuta all'art. 1 del T.U. 267/2001, che complica lo sforzo dell'interprete
Ai sensi dell'art. 128 della costituzione le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni.
Pare ormai assodato che il termine ^deroga^debba essere inteso in senso atecnico, comprensivo dei casi di abrogazione tacita, rendendo allora la L. 106/2011 invalida. Tuttavia le opinioni degli interpreti parrebero ^salvarla^. Parte della dottrina ritiene infatti che leggi ed atti equiparati possano sempre abrogare, anche in violazione di tale norma di salvaguardia, non avendo essa un fondamento costituzionale che ne rafforzi la potenzialità normativa e trattandosi dunque di atti con pari forza. Chi, al contrario, aveva ravvisato il citato fondamento costituzionale nell'art. 128 citato nella norma, è ad oggi smentito dalla sua abrogazione.

Né il d.l. Sviluppo fa riferimento alla normativa regionale, nel caso della Regione Lombardia rappresentata dall'articolo 12 della l.r. 12/2005, il quale tratta del procedimento di approvazione dei piani attuativi, oggi - successivamente alle modifiche introdotte con la legge regionale 4/2008 - attribuendo nuovamente ai Consigli comunali il compito di provvedere alla loro adozione e approvazione, originariamente in capo alla Giunta.

Allo stato, in attesa di intervento legislativo da parte della Regione, le possibili strade sono:

  • mantenere in capo al Consiglio comunale l'intero iter di approvazione dei piani attuativi, ritenendo la normativa di cui al d.l. Sviluppo inefficace per il contrasto con il T.U.E.L. e comunque inoperante in presenza di diversa normativa regionale, che il d.l. non dichiara disapplicata;
  • mantenere in capo al Consiglio comunale l'adozione, riservando alla Giunta il compito di approvare i piani attuativi conformi, facendo leva da un lato sulla lettera della norma in stretta osservanza del primo comma dell'art. 12 delle preleggi, e dall'altro sulla natura eccezionale della norma, che come tale andrebbe interpretata restrittivamente nel senso che il legislatore ha inteso attribuire alla Giunta il solo compito della approvazione, mantenendo fermo il principio di attribuzione funzionale contenuto nell'articolo 42 del T.U.E.L.;
  • riconoscere alla Giunta il compito di gestire l'intero procedimento volto alla approvazione del piano attuativo, interpretando il dettato letterale della norma nel senso della volontà del legislatore di trasferire ad essa ogni competenza in materia di piani attuativi conformi. In tal senso si é espressa la Regione Lombardia con nota 7 settembre 2001 (v. www.ptpl.altervista.org), ritenendo "che il termine “approvati”, in coerenza con gli obiettivi di semplificazione perseguiti dal legislatore statale, è da intendersi comprensivo anche della fase di adozione del piano attuativo".

    Ad avviso di chi scrive, escludendo profili di incostituzionalità allo stato non sollevati dalle Regioni, solo la seconda interpretazione consentirebbe di attribuire efficacia concreta al d.l. Sviluppo nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal T.U.E.L., evitando così - o quantomeno limitando in massimo grado - antinomie di sistema. Quanto alla tesi della Direzione Generale Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia, sembra quantomeno dubbio che si possano invocare gli obiettivi di semplificazione per disattendere il dato letterale della norma, vero che la scansione temporale del procedimento resta la medesima, con profili invece di vulnus in capo alle prerogative dei consiglieri comunali privati in ordine all'esame degli strumenti urbanistici di cui all'art. 42 T.U.E.L..
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