Ordinanza di demolizione: impresa e d.l. non sono legittimati a impugnarla.

Con sentenza breve n. 484 depositata in cancelleria il 10 febbraio 2011, la sezione seconda del TAR Lombardia, Milano, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da impresa e direzione lavori nei confronti di un ordine di demolizione e rimessione in pristino ex art. 31 T.U. Edilizia a seguito dell'abusiva realizzazione di una piscina, in luogo di autorizzato laghetto decorativo, all'interno di fascia di rispetto cimiteriale. Mentre i proprietari avevano presentato ricorso autonomo sia avverso il diniego di sanatoria che la successiva ordinanza di demolizione, impresa costruttrice e direzione lavori, si erano determinati a impugnare la seconda successivamente alla condanna ricevuta in sede penale, nell'ottica dell'impugnativa di questa.



La decisione si distingue per la completezza della motivazione, resa con riferimento sia all'ordine di demolizione sia al diniego di accertamento di conformità, escludendo in entrambi i casi la legittimazione di impresa e d.l. all'impugnazione.

Il Collegio ha sollevato d’ufficio l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per difetto di interesse al ricorso degli istanti, sulla scorta del fatto che l’ordinanza impugnata fosse in buona sostanza rivolta esclusivamente ai proprietari, imponendo loro la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi e prospettando, sempre a loro esclusivo carico, in caso di inottemperanza, l’acquisizione del sedime dei manufatti e relative pertinenze.

Nessuna apprezzabile utilità è, pertanto, ravvisabile a favore dei ricorrenti
- i quali, destinatari anch'essi del provvedimento, paventavano conseguenze dell'atto sanzionatorio in termini di possibile divieto di partecipazione a gare e/o discreto professionale - in caso di eventuale annullamento dell’atto impugnato, nè direttamente né indirettamente, potendo gli stessi conservare "la facoltà di difendere il proprio operato professionale in eventuali giudizi di responsabilità dinanzi al giudice ordinario, potendo quest’ultimo, all’occorrenza, disapplicare – incidenter tantum – il presupposto provvedimento amministrativo eventualmente reputato illegittimo".

Per completezza di motivazione, il Collegio ha ritenuto opportuno precisare come anche rispetto al provvedimento tacito di diniego di sanatoria "l’orientamento prevalente in giurisprudenza sia incline ad escludere la legittimazione attiva del direttore dei lavori e della ditta esecutrice degli stessi", come la stessa seconda sezione ha avuto occasione di chiarire (cfr., da ultimo, la sentenza TAR Lombardia, Milano, Sez. II^, 28/1/2011 n.265) affermando "che la legittimazione ad impugnare provvedimenti relativi ad interventi edilizi spetta soltanto a coloro che sono titolari di interesse legittimo differenziato, e che tra costoro non rientrano il progettista o la ditta esecutrice del progetto che, invece, sono titolari di un mero interesse semplice o di fatto alla realizzazione dell'opera secondo il progetto, per cui gli stessi non possono impugnare in via autonoma il diniego di concessione edilizia, o i provvedimenti repressivi di cui all’art. 31 cit., ma soltanto proporre intervento "ad adiuvandum" nel giudizio promosso dal committente proprietario (cfr., ex multis, T.A.R. Emilia Romagna, sez. Parma, 10.02.2010 n. 61; T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 05 giugno 2009, n. 986; T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 6 marzo 2001, n. 523, T.A.R. Piemonte, sez. I, 18 giugno 2003, n. 924 e Consiglio Stato, sez. V, 5 marzo 2001, n. 1250)".

Né sussisterebbe un interesse, neppure morale, in capo al professionista progettista, all'impugnazione del diniego di intervento edilizio, richiesto da un terzo e respinto dal comune, "anche nel caso in cui si trattasse di errore di rappresentazione progettuale, in quanto tale diniego inciderebbe sullo "ius aedificandi" e non sull'esercizio della professione del progettista, né sulle sue qualità e il suo prestigio, che non possono reputarsi chiamate in causa da un rilievo tecnico operato dall'amministrazione per uno scopo del tutto diverso, cioè il perseguimento del corretto uso del territorio (così, specificamente, TAR Toscana, Firenze, n. 986/2009 cit.)", vero che "l'eventuale annullamento dell'atto produrrebbe effetti solo sulla sfera giuridica del richiedente e sulle sue facoltà inerenti all'edificazione, mentre nulla toglierebbe o aggiungerebbe alle doti professionali del progettista stesso (T.A.R. Liguria, sez. I, 17 marzo 2006, n. 251)".

La sentenza n. 484/2011 del TAR Lombardia, Milano, sez. II, é disponibile sul sito Giustizia Amministrativa a questo indirizzo.
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