Oneri di urbanizzazione: la determinazione forfettaria non può prescindere dalla natura e dalla consistenza delle opere

Per gentile segnalazione e redazione dello studio legale Carrara di Sondrio.

Nel 1995 un privato presenta istanza di condono al Comune di Milano (il secondo condono edilizio ex L. n. 724/1994) per cambio destinazione d’uso – da produttivo a direzionale di un capannone - attuati tramite le seguenti opere: sostituzione pavimentazione, controsoffittatura per ospitare l’impianto di condizionamento e installazione di pareti in legno-vetro mobili.


Opere che oggi rientrerebbero nell’attività edilizia libera ex art. 6 T.U. Edilizia e nella categoria della manutenzione ordinaria.

Nel marzo 2011, 16 anni dopo, il Comune chiede un’integrazione documentale – certificazione antimafia; prova dell’avvenuta presentazione all’UTE della documentazione necessaria ai fini dell’accatastamento o della variazione catastale;  perizia giurata per abuso superiore a 450 metri cubi, ma non il computo metrico estimativo delle opere – per poi liquidare a carico del privato oneri economici pari ad oltre 90.000 euro, determinati in buona misura dall’applicazione di un criterio forfettario (moltiplicazione della superficie lorda di pavimento per 620 euro/mq) siccome previsto da una Delibera di Giunta Comunale del 1996 per il caso di mancata presentazione di computo metrico estimativo delle opere.

Impugnata la liquidazione degli oneri, eccependo preliminarmente la prescrizione della pretesa comunale e nel merito l’illegittimità di una liquidazione disancorata dalla reale (minore) consistenza delle opere realizzate, il TAR Milano (Sezione Seconda, sentenza 1315/2014) respingeva il ricorso confermando il criterio liquidatorio forfettario comunale così motivando:
Costituiva, [...], certamente un preciso onere delle ricorrenti, in occasione della presentazione dell’istanza finalizzata a sanare l’abuso, dichiarare dettagliatamente le opere eseguite e produrre il relativo computo metrico estimativo. Di tal che, non avendo a ciò provveduto, esse non possono oggi dolersi dell’applicazione di criteri forfettari, cui l’amministrazione è costretta inevitabilmente a fare ricorso al fine di pervenire comunque alla determinazione degli importi dovuti, colmando le lacune della domanda di condono.
Il privato ricorre al Consiglio di Stato lamentando:

  • la prescrizione della pretesa comunale;
  • l’errata qualificazione della fattispecie quale mutamento di destinazione con opere, vero che trattasi di opere irrilevanti sotto il profilo edilizio e rientranti nell’attività edilizia libera; 
  • in ogni caso, anche qualificandolo quale mutamento con opere,  la p.a. era tenuta – non vertendosi affatto in attività strettamente vincolata - a richiedere un’integrazione istruttoria al privato del computo metrico (così come l’A.C. ha ritenuto di fare in relazione ad altra documentazione), non potendo procedere ad una liquidazione disancorata dalla consistenza effettiva dell’intervento.

Con la sentenza segnalata, il Consiglio di Stato, escluso che potesse ritenersi maturata la prescrizione in presenza di documentazione incompleta (principio giurisprudenziale consolidato) e, qualificato l’intervento quale mutamento con opere, ha accolto nel merito l’appello affermando come
l’amministrazione abbia erroneamente proceduto ad una determinazione forfettaria dei costi dovuti senza considerare la reale natura e consistenza delle opere eseguite. In particolare il Comune avrebbe dovuto svolgere una adeguata istruttoria con eventuali richieste integrative alla società al fine di pervenire ad una quantificazione della somma dovuta che avesse come parametro di riferimento la effettiva natura delle opera eseguite.
Ricordato dal Consiglio di Stato che:

  • l'art. 5 della legge della Regione Lombardia 5 dicembre 1977, n. 30, applicabile ratione temporis, prevede che le modificazioni delle destinazioni d'uso comportano la corresponsione di un contributo commisurato sia alla eventuale maggior somma determinata in relazione alla nuova destinazione rispetto a quella che sarebbe dovuta per la destinazione precedente, sia alla quota dovuta per le opere relative ad edifici esistenti;
  • l'amministrazione comunale, per stabilire le concrete modalità e criteri di determinazione del contributo, ha adottato la deliberazione della Giunta n. 5471 del 1996;

i Giudici di Palazzo Spada affermano il principio secondo cui la determinazione forfettaria dei costi dovuti, pur ammessa, non può operare senza considerare la reale natura e consistenza delle opere eseguite.

Principio che trascende la fattispecie e che è destinato a superare eventuali disposizioni locali più restrittive o penalizzanti per il privato, come lo era per l’appunto la delibera di G.C. milanese del 1996 contemplante una determinazione forfettaria elevate in caso di mancata (spontanea) presentazione di computo estimativo.

Disposizioni che devono essere interpretate, in ogni caso, secondo i canoni della buona amministrazione e avendo a riferimento la reale consistenza delle opere.

Afferma infatti il Consiglio di Stato che:
Né varrebbe rilevare che la delibera di Giunta, sopra riportata, imporrebbe necessariamente la modalità di calcolo forfettaria in mancanza del deposito del computo metrico estimativo. L’atto amministrativo generale in esame, alla luce della sua formulazione letterale e all’esito di una interpretazione conforme ai canoni della buona amministrazione, non esclude l’obbligo per il Comune di effettuare una istruttoria, con eventuale coinvolgimento del privato, finalizzata a pervenire ad una decisione finale che tenga conto della reale situazione di fatto.
La sentenza n. 4706 del 14 luglio 2016 del Consiglio di Stato, sezione VI, è disponibile sul sito della Giustizia Amministrativa a questo indirizzo
Copyright © www.studiospallino.it