Legge 241/1990: preavviso di diniego e provvedimento finale

Con sentenza n. 3037 del 15 dicembre 2014, la sezione III del TAR Lombardia, Milano, si pronuncia sul rapporto tra la comunicazione portante preavviso di diniego e il provvedimento definitivo, specificando che tra i due non deve sussistere un rapporto di identità.


In seguito al riesame disposto con ordinanza giurisdizionale, l’Amministrazione ha riavviato il procedimento e all’esito dello stesso ha adottato un provvedimento di conferma del diniego di iscrizione del ricorrente nell’elenco dei fornitori di beni e prestatori di servizi di cui al D.P.C.M. 18 aprile 2013.

Afferma il TAR che il secondo diniego, impugnato con il ricorso per motivi aggiunti, non va a sostituire del tutto l’originario provvedimento, ma ne integra a livello di supporto motivazionale il contenuto e ne avvalora le conclusioni.

Non deve tuttavia sussistere un rapporto di identità tra il preavviso di rigetto e la determinazione conclusiva del procedimento, né una corrispondenza puntuale e di dettaglio tra il contenuto dei due atti, ben potendo la pubblica amministrazione ritenere, nel provvedimento finale, di dover meglio precisare le proprie posizioni giuridiche, escludendosi soltanto la possibilità di fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, non enucleabili dalla motivazione dell’atto endoprocedimentale.

Di rilievo l'affermazione secondo la circostanza che la società ricorrente non abbia, in sede procedimentale, contestato nel merito il preavviso di rigetto, impedirebbe comunque l’annullamento del provvedimento impugnato, attesa l’applicabilità dell’art. 21-octies delle legge n. 241 del 1990 pure a siffatto tipo di vizi procedimentali (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, I bis, 15 settembre 2014, n. 9652).

La sentenza n. 3037 del TAR Lombardia, Milano, sezione III, è riportata di seguito.

logo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS- del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
- -OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Daniela Anna Ponzo e Fiorino Ruggio ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Milano, Via Ripamonti n. 66; 
contro
- la Prefettura – U.T.G. di Milano, in persona del Prefetto pro-tempore,
- il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato e domiciliati presso la sede della stessa in Milano, Via Freguglia n. 1; 
per l’annullamento
quanto al ricorso introduttivo:
- della nota del Dirigente dell’Ufficio di Supporto della Sezione Specializzata del Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle Grandi Opere della Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Milano, prot. n. 12 B 7/2012-036703, avente ad oggetto il diniego di iscrizione nell’elenco dei fornitori di beni e prestatori di servizi di cui al D.P.C.M. 18 ottobre 2011 per la Società -OMISSIS-.;
- nonché del provvedimento prefettizio, prot. n. 128.7/2012 – 036703 n. 2013 – 0025827 del 29 luglio 2013 con il quale è stata negata alla -OMISSIS-. l’iscrizione alla c.d. White Liste ex art. 4 co. 3 del D.P.C.M. 18 ottobre 2011;
- nonché, ove occorrer possa e nei limiti dell’interesse dedotto e fatto valere con il presente ricorso, delle richiamate Circolari del Ministero dell’Interno n. 559/leg/240.514.3 del 14 dicembre 1999 e dell’8 gennaio 1996, e n. 11001/119/20(6) dell’8 febbraio 2013;
- di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso, collegato e/o consequenziale;
quanto al ricorso per motivi aggiunti:
- della nota del Dirigente dell’Ufficio di Supporto della Sezione Specializzata del Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle Grandi Opere della Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Milano del 21 marzo 2014, prot. n. 12 B 7/20130031505, avente ad oggetto il provvedimento di conferma del diniego di iscrizione nell’elenco dei fornitori di beni e prestatori di servizi di cui al D.P.C.M. 18 ottobre 2011 per la Società -OMISSIS-.;
- nonché del provvedimento prefettizio prot. fasc. n. 12B7/20130031505, prot. uscita del 21 marzo 2014, n. 0021939, classifica EXPO 1, datato 21 marzo 2014;
- di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso, collegato e/o consequenziale.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno;
Vista l’ordinanza n. 1318/2013 con cui è stata accolta per riesame la domanda di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo;
Vista l’ordinanza n. 684/2014 con cui la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha confermato la pronuncia cautelare di primo grado;
Vista l’ordinanza n. 907/2014 con cui è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati con il ricorso per motivi aggiunti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Designato relatore il primo referendario Antonio De Vita;
Uditi, all’udienza pubblica del 4 novembre 2014, i difensori delle parti, come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO
1. Con ricorso introduttivo, notificato in data 6 novembre 2011 e depositato in pari data, la società ricorrente ha impugnato la nota del Dirigente dell’Ufficio di Supporto della Sezione Specializzata del Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle Grandi Opere della Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Milano del 31 luglio 2013, prot. n. 12 B 7/2012-036703, avente ad oggetto il suo diniego di iscrizione nell’elenco dei fornitori di beni e prestatori di servizi di cui al D.P.C.M. 18 ottobre 2011 e il provvedimento prefettizio, prot. n. 128.7/2012 – 036703 n. 2013 – 0025827 del 29 luglio 2013 con il quale le è stata negata l’iscrizione alla c.d. White Liste ex art. 4 co. 3 del D.P.C.M. 18 ottobre 2011.
La società ricorrente, avendo richiesto alla Prefettura della Provincia di Milano l’iscrizione nella c.d. White Liste al fine di poter partecipare alle gare bandite in vista dell’evento EXPO Milano 2015, ha ricevuto il diniego di iscrizione per asseriti collegamenti con altre imprese ed altri soggetti considerati contigui alla criminalità organizzata.
Assumendo come illegittimo siffatto diniego di iscrizione, la ricorrente lo ha impugnato, adducendo plurime violazioni di norme di legge e di eccesso di potere sotto differenti profili.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione dell’Interno, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Con l’ordinanza n. 1318/2013 è stata accolta per riesame la domanda di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo; la pronuncia cautelare di primo grado è stata confermata con l’ordinanza n. 684/2014 della Terza Sezione del Consiglio di Stato.
2. In seguito al riesame disposto con l’ordinanza n. 1318/2013 di questa Sezione, l’Amministrazione ha riavviato il procedimento e all’esito dello stesso ha adottato un provvedimento di conferma del diniego di iscrizione nell’elenco dei fornitori di beni e prestatori di servizi di cui al D.P.C.M. 18 aprile 2013.
Con ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 20 maggio 2014 e depositato il 29 maggio successivo, la -OMISSIS-. ha chiesto l’annullamento del predetto provvedimento di conferma del diniego di iscrizione e degli atti connessi, assumendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto differenti profili.
Con l’ordinanza n. 907/2014 è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati con il ricorso per motivi aggiunti.
3. In prossimità dell’udienza di trattazione del merito della controversia, le parti hanno depositato memorie e documenti a sostegno delle rispettive posizioni.
Alla pubblica udienza del 4 novembre 2014, su conforme richiesta dei difensori delle parti, la controversia è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare va dichiarato improcedibile per carenza di interesse il ricorso introduttivo, atteso che i provvedimenti impugnati con il predetto gravame sono stati sostituiti da quelli impugnati con il ricorso per motivi aggiunti. Questi ultimi provvedimenti, pur essendo stati assunti all’esito della pronuncia cautelare n. 1318/2013 con cui è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo, si fondano su una rivalutazione rinnovata e più ampia di quella compiuta in un primo tempo dalla Prefettura di Milano, che dunque non rappresenta una mera esecuzione del disposto cautelare – come evidenziato anche nella prima censura del ricorso per motivi aggiunti – ma si pone come una rinnovata volontà dell’Amministrazione, solo parzialmente riconducibile all’attività svolta in precedenza (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, III, 15 settembre 2014, n. 2357).
2. Passando all’esame del ricorso per motivi aggiunti, lo stesso non è meritevole di accoglimento.
3. Con il primo motivo si assume la violazione delle norme sul procedimento amministrativo, atteso che la Prefettura avrebbe comunicato dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza non corrispondenti a quelli posti a fondamento del provvedimento finale di reiterazione del diniego di iscrizione.
3.1. La doglianza è infondata.
La Prefettura di Milano con la comunicazione del 20 dicembre 2013 (all. 3 al ricorso per motivi aggiunti) ha invitato la ricorrente, in ottemperanza a quanto disposto con l’ordinanza n. 1318/2013 di questa Sezione, a far pervenire le proprie osservazioni in relazione al contenuto della nota del 29 luglio 2013.
La ricorrente ha risposto alla predetta comunicazione con alcune osservazioni – in data 13 gennaio 2014 (all. 4 al ricorso per motivi aggiunti) – attraverso le quali, non entrando nel merito della vicenda, ha sostanzialmente contestato all’Amministrazione di non essersi adeguata all’ordine giurisdizionale cautelare. A tale comunicazione ha fatto riscontro una ulteriore nota prefettizia – in data 24 gennaio 2014 (all. 6 al ricorso per motivi aggiunti) – che ha contestato la prospettazione fornita dall’istante, assumendo come corretto, in fase cautelare, il tenore del preavviso di rigetto.
Successivamente alla decisione cautelare del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 563/2014, confermativa della decisione di primo grado, il Prefetto ha adottato l’atto finale di diniego (all. 8 al ricorso per motivi aggiunti) ritenendo di confermare quanto già emerso in sede di adozione del primo provvedimento negativo, anche alla luce di ulteriori elementi emersi in seguito alla rinnovazione del procedimento.
In realtà il secondo diniego, impugnato con il ricorso per motivi aggiunti, non va a sostituire del tutto l’originario provvedimento, ma ne integra a livello di supporto motivazionale il contenuto e ne avvalora le conclusioni, atteso che l’unico elemento nuovo introdotto risulta essere il collegamento della società ricorrente con la -OMISSIS-., destinataria di un identico provvedimento di diniego; per il resto le valutazioni compiute ricalcano pedissequamente il tenore del primigenio provvedimento negativo.
Quanto evidenziato in precedenza determina l’infondatezza dell’esaminata censura.
Tale conclusione trova un supposto anche nella giurisprudenza, secondo la quale non deve sussistere un rapporto di identità tra il preavviso di rigetto e la determinazione conclusiva del procedimento, né una corrispondenza puntuale e di dettaglio tra il contenuto dei due atti, ben potendo la pubblica amministrazione ritenere, nel provvedimento finale, di dover meglio precisare le proprie posizioni giuridiche, escludendosi soltanto la possibilità di fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, non enucleabili dalla motivazione dell’atto endoprocedimentale (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, II, 14 dicembre 2011, n. 1992).
3.2. Oltretutto la circostanza che la società ricorrente non abbia, in sede procedimentale, contestato nel merito il preavviso di rigetto, impedirebbe comunque l’annullamento del provvedimento impugnato, attesa l’applicabilità dell’art. 21-octies delle legge n. 241 del 1990 pure a siffatto tipo di vizi procedimentali (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, I bis, 15 settembre 2014, n. 9652).
3.3. Anche l’individuazione di differenti presupposti normativi posti a supporto del provvedimento di conferma non è idonea a inficiarne la legittimità sia perché l’eventuale erronea indicazione di un presupposto normativo non può condurre all’annullamento dell’atto, in assenza di un evidente sviamento di potere, sia perché la normativa citata ha sostituito quella applicata in un primo tempo e allora vigente ratione temporis (cfr. art. 10 del D.P.C.M. 18 aprile 2013).
3.4. Infine, l’asserita eccessiva durata del procedimento non può essere una ragione di invalidità dello stesso, come sostenuto dalla costante giurisprudenza, soprattutto con riguardo a procedimenti complessi, preceduti da una articolata fase istruttoria (Consiglio di Stato, III, 8 febbraio 2013, n. 702).
3.5. Ciò determina il rigetto del predetto motivo di ricorso.
4. Con un secondo ordine di censure si assume l’illegittimità del provvedimento di diniego impugnato giacché il tentativo di infiltrazione mafiosa a danno della ricorrente sarebbe stato desunto dal mero rapporto di parentela intercorrente tra la proprietaria della maggioranza assoluta delle quote sociali (Sig.ra Catania Maria) e alcuni esponenti della criminalità organizzata e da alcuni collegamenti con un’altra società denominata -OMISSIS-., destinataria di una interdittiva antimafia per le stesse ragioni della ricorrente.
4.1. La doglianza è infondata.
Come emerge dall’esame dei provvedimenti che hanno negato alla società ricorrente l’iscrizione nella Withe List (all. 2 al ricorso introduttivo e all. 8 al ricorso per motivi aggiunti), le ragioni che hanno determinato un tale esito negativo sono da rinvenirsi non soltanto nei rapporti parentali tra la sig.ra Catania ed esponenti della criminalità organizzata, ma anche negli innumerevoli rapporti intercorrenti tra la società ricorrente o i suoi soci con altre società guidate o partecipate da esponenti di rilievo della predetta criminalità (si veda la ricostruzione degli intrecci societari da pag. 2 a pag. 12 dell’all. 2 al ricorso introduttivo). Tale quadro risulta completato con l’ultimo provvedimento impugnato che fa un riferimento anche ad un’altra società collegata alla ricorrente (ossia la -OMISSIS-.).
Del resto, come evidenziato dalla giurisprudenza, trattandosi di misure a carattere preventivo, le stesse prescindono dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fondano sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente. Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati, visto che il potere esercitato è espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata; per tali ragioni il predetto intervento non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretto da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata. Pertanto, la misura interdittiva può fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, III, 5 febbraio 2014, n. 570)
In tal senso la prospettazione offerta dalla parte ricorrente non è idonea ad inficiare la determinazione dell’Amministrazione, essendo stata offerta una diversa lettura degli elementi indizianti, che però non dimostra l’illogicità della determinazione prefettizia.
4.2. A ciò consegue il rigetto della predetta censura.
5. Nel ricorso si assume altresì che la normativa che consente l’adozione di misure interdittive senza alcun preventivo vaglio giurisdizionale sarebbe in contrasto con diversi precetti costituzionali.
5.1. La prospettata illegittimità costituzionale della normativa contenuta nel Codice antimafia (D. Lgs. n. 159 del 2011), in particolare degli artt. 84 e 91, è infondata.
Infatti, le conseguenze delle misure interdittive sono esclusivamente di carattere patrimoniale e non riguardano assolutamente gli aspetti relativi alla libertà personale.
Pertanto, la mancata previsione di un preventivo vaglio giurisdizionale rispetto all’adozione delle misure interdittive antimafia non appare in contrasto con il dettato costituzionale, atteso che “il principio di personalità della responsabilità è dettato in Costituzione (soltanto) con riferimento agli illeciti penali e non si estende sic et simpliciter alla responsabilità civile ed amministrativa od ai rapporti contrattuali con la P.A., dove ulteriori interessi in gioco possono essere legittimamente bilanciati dal legislatore per introdurre forme di responsabilità oggettiva o anticipazioni della soglia di tutela dell’ordine pubblico, come nel caso di specie della legislazione antimafia in materia di contrattazione con la Pubblica Amministrazione.
Analogamente deve sottolinearsi come la libertà di iniziativa economica non sia assoluta, ma debba essere esercitata nel rispetto della legge e dei principi dell’ordinamento, con conseguente legittimità della normativa dettata in subiecta materia che tutela l’ordine pubblico, la corretta allocazione delle risorse pubbliche, il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione” (T.A.R. Lombardia, Milano, III, 17 giugno 2013, n. 1573).
5.2. Ciò conduce al rigetto anche di questa censura.
6. In conclusione, il ricorso introduttivo deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, mentre il ricorso per motivi aggiunti deve essere respinto.
7. In relazione al complessivo andamento della controversia, le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando, dichiara improcedibile il ricorso introduttivo e respinge il ricorso per motivi aggiunti, entrambi indicati in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi di -OMISSIS-., -OMISSIS-. e Catania Maria, manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del 4 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Adriano Leo, Presidente
Alberto Di Mario, Primo Referendario
Antonio De Vita, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Copyright © www.studiospallino.it