Occupazione appropriativa: prime soluzioni adottate dopo la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 43 T.U. espropriazioni.

A seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’istituto dell’acquisizione sanante ex art. 43 Dpr n. 327 del 2001, nell’ipotesi di occupazione sine titulo di un fondo per la realizzazione di un’opera pubblica, si devono applicare gli articoli 934 e ss. del c.c., con la conseguenza che, in base alla regola dell’accessione, il privato proprietario del fondo ha diritto di ottenerne la restituzione, oltre al risarcimento del danno subito, essendo irrilevante l’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica.

E’ questo l’innovativo principio espresso dal TAR Campania, Sez. V, nella sentenza n. 262 del 18 gennaio 2011.

Successivamente alla decisione della Corte Costituzionale n. 293 del 2010 [link a Bosetti & Gatti] che ha dichiarato incostituzionale l’istituto dell’occupazione acquisitiva, due erano gli scenari ipotizzabili. Una prima soluzione, forse più ovvia, ma anche più pericolosa ricordando le decisioni CEDU del 2000, consisteva nel far regredire il sistema alla situazione antecedente all’introduzione dell’incostituzionale art. 43, prevedendo la “riesumazione” dell’istituto dell’accessione invertita di matrice giurisprudenziale, comportante l’automatico trasferimento alla P.A. di un bene privato a seguito della sua irreversibile trasformazione. La seconda, più incisiva, tesa ad aderire alle istanze di provenienza europea, comportava una generale ricognizione dell’assetto legislativo italiano al fine di trovare adeguata risposta al “vuoto normativo” così formatosi.
E’ proprio questa la strada intrapresa dalla commentata pronuncia del TAR Campania, che rintraccia la disciplina applicabile all’occupazione senza titolo negli istituti generali del diritto civile riguardanti i modi di acquisto della proprietà. Secondo i giudici campani, infatti, chi costruisce un’opera su un suolo altrui non diventa proprietario di quel suolo solo perché è una pubblica amministrazione che agisce per un fine pubblico, ma, al contrario, in applicazione della regola generale sull’accessione, dettata dagli artt. 934 e 936, comma 1, del c.c., è il proprietario del suolo che acquisisce l’opera, mantenendo il diritto di ritenerla o di obbligare colui che l’ha realizzata a eliminarla, oltre ovviamente al risarcimento del danno subito. Se la soluzione appare senz’altro in linea con le istanze europee, pare lecito domandarsi se uguale decisione sarebbe stata adottata nell'ipotesi di demolizione di un’opera pubblica di maggior rilievo o un’opera strategica.

Soluzioni alternative sono state prospettate da altre pronunce. Tra queste va citata TAR Puglia, Lecce, Sez. I, n. 293 del 2010, cui fanno riferimento gli stessi giudici campani, che propone l’applicazione dell’istituto della specificazione ex art. 940 c.c. In questo modo, allo specificatore (nel nostro caso l’amministrazione) verrebbe attribuita la proprietà a titolo originario sia della cosa nuova che del fondo sul quale insiste. Tale istituto, tuttavia, non solo è stato previsto dal legislatore per le cose mobili (e non per quelle immobili), ma per di più pare far rientrare dalla finestra l’istituto dell’accessione invertita, ritenuto dalla CEDU in contrasto con l’art. 1, protocollo n. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La sentenza T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 18 gennaio 2011, n. 262, é disponibile sul sito Giustizia Amministrativa a questo indirizzo.
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